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La cassata: molto più che un dolce, un pezzo di storia della Sicilia

La “cassata” è uno dei dolci più conosciuti della pasticceria siciliana ma è anche qualcosa di più, è uno dei simboli dell’Isola stessa e della sicilianità. Si tratta di un dolce che affonda le proprie radici nella storia, infatti bisogna andare indietro di molti secoli per poterne ricostruire le origini o quantomeno per poterne individuare gli antenati. Molte sono le leggende e i racconti fantasiosi che circondano la genesi di questo straordinario dessert, ma d’altra parte non potrebbe essere diversamente, essendo diventato celeberrimo in tutto il mondo. In base ad una leggenda, il termine “cassata” nacque durante il periodo della conquista islamica della Sicilia, quando un contadino incontrando un saraceno, indicò a quest’ultimo con “qas’at” il recipiente nel quale cuoceva la ricotta. Ma si tratta di una leggenda e niente più. Se si vuole cercare di ricostruire l’evoluzione storica della “cassata” bisogna innanzitutto porre due questioni differenti: in primo luogo, analizzare l’etimologia del termine e in secondo luogo, chiarire che cosa s’intenda per “cassata”. Il nome “cassata” potrebbe provenire da “caseata” e quindi da “caseus”, cioè formaggio. Un’altra ipotesi è che possa provenire da “capsata”, riferendosi al modo di preparazione, cioè a forma di cassa. È doveroso precisare che probabilmente la “cassata” nacque in un ambito geografico più ampio della Sicilia, comprendendo altre regioni mediterranee, in particolar modo l’Italia meridionale ma in tal senso non esistono certezze. Però sappiamo che un’imposta palermitana del 1312 considerava i venditori di “cassate” come facenti parte della categoria dei panettieri e dei venditori di minestre di fave, inoltre l’abate Senisio nel 1348 ci parla della cassata come di una torta salata con pasta di pane e formaggio fresco. Quindi, sembrerebbe che nel XIV secolo per “cassata” s’intendesse quello che noi oggi considereremmo un piatto salato e non un dolce. Nell’ “Anonimo Meridionale”, un trattato gastronomico del XV secolo, al cuoco che intendesse preparare una “casciata” s’indicava di utilizzare “cascio fresco et ova et lardo et scalogne trite crude” e nel cinquecento, almeno nella prima metà del secolo, il dizionario siciliano- latino di Lucio Cristoforo Scobar definisce “Cassata di ova” dei “pasticza di pani e formaiu”. A partire dalla seconda metà del XVI secolo per la preparazione della “cassata”, sembrerebbe venissero aggiunti zucchero e spezie ma non si trattava ancora di un dolce infatti secondo la cultura gastronomica rinascimentale era usuale l’utilizzo dello zucchero nella preparazione di pietanze che noi considereremmo salate.

La “cassata dolce” avrebbe fatto la sua comparsa tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, verosimilmente in ambiente monacale, tant’è vero che, una testimonianza rilevante ci proviene dal libro di cucina dell’abbazia di San Martino delle Scale, nel quale ritroviamo tra gli ingredienti della cassata “mendole scaldate e ben mondate, zuccaro insieme con cannella, garofali”. Nel dizionario settecentesco di Michele Pasqualino la cassata è fatta con “spezie di torta fatta di ricotta raddolcita di zucchero con rivolto di pasta anch’essa raddolcita, e fatta in forma ritonda”. Ma non dobbiamo pensare che l’uso della ricotta fosse categorico, essa poteva essere sostituita da diverse farciture come crema, zabaione, marmellate o cioccolata e poteva essere avvolta da “fettine di mollica di pane, o biscotti di monache freschi senza biscottare”, inoltre durante la stagione calda, la cassata poteva essere imbottita con creme gelate. Una fonte di grande importanza per tentare di ricostruire l’evoluzione della cassata ci proviene dal libro di spesa della famiglia nobiliare palermitana dei Moncada, infatti il monsù (cuoco professionista) Phelipe mise per iscritto gli ingredienti della “cassata di pan di Spagna” per la cena del 23 Ottobre del 1788, questo è l’elenco: pan di Spagna, ricotta, latte, pistacchi, zucchero, cannella, zuccata e pere condite nello sciroppo di zucchero.
Si tratta di un testo straordinario in quanto è attualmente la testimonianza più antica a nostra disposizione sulla “cassata alla siciliana”, infatti il dolce preparato da Phelipe lo potremmo definire come l’antenato più vicino alla “cassata siciliana” elaborata dal proprietario di una delle pasticcerie più importanti della Palermo di fine Ottocento, cioè Salvatore Gulì. Quest’ultimo codificò gli ingredienti, la forma e la decorazione della moderna “cassata alla siciliana” così come oggi noi la conosciamo e come viene apprezzata in Italia e nel mondo. Insomma quella della “cassata alla siciliana” è una Storia articolata, non sempre chiara e lineare, spesso difficile da ricostruire: in origine un piatto salato, un pasticcio di pasta di pane e formaggio con l’eventuale aggiunta di uova o altri ingredienti, come le fave, per poi, in età rinascimentale, essere condita anche con zucchero e spezie fino alla comparsa delle prime “versioni dolci” grazie all’intervento delle monache, per diventare nel ‘700 un dolce dell’aristocrazia siciliana, che poteva avere, oltre la ricotta dolce, varie farciture. Infine, nel 1788, la prima versione nota della “cassata di pan di Spagna” fino a quella odierna di Salvatore Gulì. Un’evoluzione storica complessa dalla quale è nato un dolce squisito e incredibile, divenuto simbolo non soltanto della cucina ma anche della cultura e dell’identità siciliana.

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